Esemplare esempio di svista creativa da parte di un regista noto come scopritore di giovani talenti femminili, ma anche per qualche buon film di introspezione psicologica (Il cappotto, Il mulino del Po, Guendalina). Ridotto all'osso del proprio contenuto episodico (osso, neanche a dirlo, costituito dall'asse sessuale della vicenda) la cronaca luinese di Piero Chiara è ridotta a raccontino più o meno boccaccesco; ma estraneo ad ogni realtà, storica e logica. E, soprattutto, dal contorno di un ambiente; da quel profumo di provincia così vicino alla nostra sensibilità di lacustri lombardi.
Tolto qualche sprazzo di lago invernale (la gita in battello), qualche angolo del borgo, un'occhiata alla tradizionale passeggiata di provincia, Lattuada non ha visto nulla di Luino e dell'atmosfera che, cinematograficamente oltre che psicologicamente, poteva giustificare l'aneddoto.
In quanto ai soccorsi che gli potevano giungere dalla sceneggiatura, la loro debolezza è tanto più sorprendente col fatto che ad essa ha collaborato lo stesso Chiara. Per cui, in definitiva, l'interesse maggiore della pellicola è riposto proprio nell'interrogativo: com'è che lo scrittore, dalla sensibilità del quale sono nate le belle pagine di "La spartizione", nulla abbia potuto, in sede di sceneggiatura, per infondere un poco della stessa vita alle immagini del racconto cinematografico?
Immagino che tutto ciò avvenga per semplice ignoranza "cinematografica": poiché dovrebbe essere chiaro a tutti che l'emozione cinematografica nasce da presupposti che nulla hanno a che spartire con quelli letterari. L'equivoco, che dura da sempre, (specie da parte degli uomini di lettere o di teatro), ha portato a mille incomprensioni nei confronti del significato cinematografico.